DOMANI – (Lisa Di Giuseppe) – La raccomandazione dell’authority sembra scritta appositamente per il caso che riguarda il senatore della Lega. La maggioranza però non si scompone.
Una segnalazione che finora è rimasta lettera morta. E che rischia di restarlo. Nella relazione annuale dell’Agcom, il presidente Giacomo Lasorella ieri ha sottolineato come «nel mese di aprile 2024, l’autorità ha segnalato al governo l’opportunità di una riforma della disciplina relativa alle concentrazioni nella stampa quotidiana».
Per l’authority che vigila anche sulle concentrazioni eccessive nelle telecomunicazioni, «i limiti ex ante stabiliti dal legislatore nel 1987 – che fanno riferimento esclusivamente alle copie cartacee – non sembrano più in grado di rappresentare le posizioni all’in terno del mercato, caratterizzato oggi dalla forte integrazione tra formato cartaceo, copia digitale e servizi online».
Insomma, serve un nuovo modo per misurare la concentrazione ed eventuali eccessi. La presa di posizione dell’authority – il fatto stesso che Lasorella l’abbia citata nella sua relazione annuale conferma l’importanza del tema, spiegano dall’ente – sembra un modo indiretto di prendere posizione sul caso Angelucci.
Proprio in quei giorni di aprile, infatti, le indiscrezioni di stampa indicavano la volontà del senatore, imprenditore della sanità e dell’editoria, di mettere le mani anche sull’agenzia Agi, di proprietà dell’Eni. Il leghista era (ed è tuttora) proprietario di Libero, Giornale e Tempo. Aggiungere anche l’agenzia di stampa avrebbe aumentato il suo peso sul panorama editoriale italiano.
Peraltro al patron di diverse clinche laziali sono stati attribuiti, negli ultimi mesi, anche interessi nei confronti di altre realtà, da Radio Capital del gruppo Gedi alla Verità di Maurizio Belpietro. Ma l’acquisizione dell’Agi continua a essere quella più probabile. E anche la più contestata.
Non a caso la diffusione della notizia sulla trattativa tra il gruppo Angelucci e l’Eni, aveva sollevato le proteste dell’opposizione. Rispondendo a un’interrogazione il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che è azionista della società petrolifera per conto del governo, aveva spiegato che la vera «anomalia» fosse che «una partecipata è proprietaria di un’agenzia di stampa».
Proprio le polemiche, però, aveva rallentato l’operazione e al momento il deal – che in ogni caso Angelucci dovrebbe segnalare ad Agcom — non è stato finalizzato. Resta il fatto che maggioranza e governo – ovviamente non ostili all’iniziativa di un parlamentare amico – non si sono mai opposti. Anche se qualcuno racconta che alla fine il senatore sia stato invitato a soprassedere. Non fosse altro perché già ora la maggioranza può contare oltre che sulle tre testate di Angelucci, sulla vicinanza di Mediaset e sul sostanziale controllo della Rai. Insomma, il messaggio che sarebbe arrivato, forse addirittura da Palazzo Chigi è che almeno per ora, non serviva e non serve un’altra “bocca di fuoco”.
Resta il fatto che la legge sulla concentrazione è ancora ferma agli standard fissati negli anni Ottanta. Nella segnalazione Agcom consiglia di riformare la norma «al fine di non trascurare la complessità ed eterogeneità delle modalità di diffusione e fruizione dell’informazione, per le quali, tra l’altro, esistono più indici di rilevazione, non omogenei, relativi a copie diffuse cartacee, copie diffuse digitali e, per le testate online, audience dei rispettivi siti e applicazioni».
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