LA REPUBBLICA – (di Matteo Pucciarelli ) –
In Vigilanza diffusi i risultati di una ricerca sostenuta dalla LA Commissione Ue
MILANO — «Occupazione e spartizione soprattutto da parte del principale partito di governo» della Rai, dove «la qualità e l’autorevolezza dei media di servizio pubblico sembrano diminuire nettamente e il pluralismo dell’informazione è fortemente peggiorato». Il report si chiama “Monitoraggio del pluralismo dell’informazione nell’era digitale”, un titolo asettico per un documento ufficiale: il progetto di ricerca è sostenuto dalla Commissione Europea e serve per individuare i rischi potenziali per il pluralismo dell’informazione negli Stati membri dell’Unione Europea e nei Paesi candidati.
Ecco, il documento ieri è stato girato a tutti i componenti della commissione di Vigilanza Rai dalla presidente Barbara Floridia (5 Stelle) e nero su bianco, senza troppi giri di parole, si dà l’allarme per lo stato di salute dell’informazione italiana. Il rischio è medio per alcune aree di ricerca, alto per altre. Tra queste ultime, ci sono le vicende della tv pubblica schiacciata dai desiderata del governo e del centrodestra. Ad esempio con proposte di emendamenti voluti da esponenti di FdI che hanno creato un «pericoloso squilibrio, violando uno dei principi fondamentali durante la campagna elettorale». Il riferimento è allo “scorporo” dal minutaggio per la par condicio degli interventi istituzionali di presidente del Consiglio e ministri. Una Rai dove «il vigente assetto legislativo — cioè la riforma voluta da Matteo Renzi — non assicura l’autonomia del servizio pubblico dal potere politico».
Il dossier curato dai professori Giulio Vigevani, Gianpietro Mazzoleni, Nicola Canzian e Marco Cecili per il prestigioso Robert Schuman Centre for Advanced Studies ripercorre un po’, di fatto, le cronache e le denunce pubbliche di quotidiani, forze di opposizione, sindacato dei giornalisti. Ma se tutte queste potevano essere accusate di essere di parte, qui c’è una ricerca scientifica a corroborare i timori e gli allarmi finora ignorati dalla destra che anzi, continua a reprimere e sbertucciare il dissenso interno nella tv pubblica. La ricerca cita anche il caso di Antonio Angelucci, deputato leghista ultra-assenteista, imprenditore nel campo della sanità e con commesse milionarie col pubblico, proprietario di un gruppo editoriale che controlla vari quotidiani e che ora «ha intenzione di acquisire l’agenzia di stampa Agi da Eni». Se questo avvenisse, «la valutazione del rischio potrebbe essere diversa», cioè il giudizio generale sul nostro Paese peggiorerebbe. Si legge, ancora: «C’è una preoccupante tendenza a intraprendere cause penali e civili contro i giornalisti, anche da parte dei membri del governo. Le vulnerabilità economiche, in particolare per i giornalisti più giovani, e le discussioni sulla restrizione dell’accesso alle informazioni giudiziarie aggravano ulteriormente i rischi». Sul fronte dell’indipendenza dei media dalla politica, di nuovo, «il principale fattore critico rimane l’indipendenza del servizio pubblico, che nel 2023 ha subìto una evidente operazione di occupazione da parte delle forze politiche di maggioranza». Questo mentre «il sistema di sussidi pubblici per l’editoria, sostanzialmente invariato, continua a distribuire risorse in modo distorto e irragionevole».
Il dossier menziona «l’imperativo di riforme sostanziali per proteggere il servizio pubblico radiotelevisivo dall’interferenza politica diretta» e su questo Floridia è d’accordo: «Occorre cancellare la legge Renzi e darne all’Italia una in linea con l’Europa, ma serve anche una riforma seria sui conflitti di interesse e sulle incompatibilità tra incarichi pubblici e partecipazioni nel settore media. Sono questi i veri temi su cui dovremmo lavorare con urgenza, invece di assistere a discussioni sulle poltrone da distribuire». La vicepresidente della commissione, Augusta Montaruli (FdI), sostiene invece che il report descriva una «situazione invariata» e se la prende con Floridia: «Usa la commissione per cavalcare una polemica strumentale, a beneficio del suo partito». Chissà se lo studio l’ha davvero letto, sembrerebbe di no.
Lascia un commento